Il trapianto di capelli con tecnica FUE o DHI è oggi una delle soluzioni chirurgiche più efficaci contro l’alopecia androgenetica. Tuttavia, non sempre è la strada giusta.
Esistono infatti situazioni cliniche, dermatologiche o psicologiche in cui l’intervento può rivelarsi inefficace, prematuro o addirittura dannoso.
 Riconoscere questi casi non è un limite: è ciò che distingue una chirurgia estetica responsabile da un approccio commerciale.
👉 La diagnosi e la selezione accurata del paziente sono il primo passo verso il successo: un trapianto ben indicato porta soddisfazione, uno mal indicato può generare solo problemi.
I casi in cui il trapianto non è indicato
Età troppo giovane
Pazienti under 22–23 anni presentano spesso un’alopecia instabile e in rapida evoluzione.
 Il rischio è che, dopo l’intervento, la perdita progredisca e il risultato diventi disomogeneo o richieda ulteriori trapianti.
🔗 Vedi anche: Trapianto nei giovani: quando aspettare e quando intervenire.
Soluzione: terapia medica (finasteride, minoxidil) e follow-up fino a stabilizzazione del quadro.
Zona donatrice insufficiente
Se la densità è inferiore a 40–50 UF/cm², un prelievo massivo rischia di lasciare trasparenze nella donor area, compromettendo l’estetica.
Soluzione: limitare l’intervento a zone mirate o valutare soluzioni combinate come tricopigmentazione.
Patologie dermatologiche attive
Alopecie cicatriziali (lichen planopilaris, alopecia fibrosante frontale, lupus discoide) o psoriasi attiva sono una controindicazione diretta.
Soluzione: trattare la malattia prima e valutare il trapianto solo a quadro clinico stabilizzato.
 🔗 Approfondisci: Altre forme di alopecia: sono sempre operabili?.
Alopecia areata attiva
È una malattia autoimmune e imprevedibile: anche capelli appena trapiantati possono essere colpiti.
Soluzione: il trapianto è valutabile solo dopo 12–24 mesi di remissione clinica stabile e sotto supervisione dermatologica.
Disturbi psicologici o aspettative irrealistiche
Tricotillomania, ansia ossessiva o richieste estetiche impossibili sono campanelli d’allarme.
 Un intervento in questi casi può peggiorare il disagio invece di risolverlo.
Soluzione: invio a percorso psicologico o psichiatrico, prima di ogni valutazione chirurgica.
Segnali clinici che richiedono cautela
-  Calvizie atipica o asimmetrica 
-  Sintomi associati (prurito, dolore, croste, desquamazione) 
-  Cute atrofica, fibrotica o poco vascolarizzata 
-  Precedenti trapianti falliti 
-  Scarsa predisposizione a seguire le regole post-operatorie. 
Questi elementi richiedono indagini aggiuntive come tricoscopia o biopsia cutanea.
Il valore di un “no” responsabile
Il chirurgo serio non opera a tutti i costi.
 Saper dire “no, non è il momento” è parte integrante della professionalità medica.
 Un intervento fatto senza indicazioni porta solo complicazioni estetiche, cliniche e psicologiche.
👉 Per un approfondimento leggi anche: Ogni trapianto è diverso: perché non esiste un risultato standard.
Alternative e percorsi propedeutici
Prima di pensare al trapianto, possono essere adottate strategie efficaci:
-  Terapie mediche (finasteride, minoxidil, dutasteride, antiandrogeni) 
-  Tricopigmentazione medica per camuffare aree diradate 
Il trapianto può essere rivalutato in futuro, solo dopo stabilizzazione clinica.
Conclusione
Il trapianto di capelli non è una soluzione universale.
 Richiede diagnosi accurata, selezione responsabile e una visione di lungo termine.
 Il vero obiettivo non è “operare tutti”, ma offrire a ciascun paziente la soluzione più sicura ed efficace per la sua condizione.
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