La Scala di Norwood-Hamilton: comprendere l’evoluzione della calvizie maschile

Scritto il 11/10/2025
da Andrea Lazzarin - Next Hair


Quando si parla di calvizie maschile, è fondamentale avere uno strumento che permetta di valutare in modo oggettivo e standardizzato il livello di diradamento e la progressione dell’alopecia.
In ambito medico e tricologico, questo strumento esiste, ed è la scala di Norwood-Hamilton, una delle classificazioni più riconosciute e utilizzate al mondo per descrivere l’alopecia androgenetica maschile.


Origini e sviluppo della scala

La prima versione della scala fu ideata negli anni ’50 dal dottor James Hamilton, uno dei pionieri nello studio della calvizie di tipo androgenetico.
Hamilton osservò che la perdita di capelli nell’uomo seguiva modelli ricorrenti e prevedibili, correlati ai livelli di androgeni (ormoni maschili) e alla predisposizione genetica.
Negli anni ’70, il dottor O’Tar Norwood perfezionò il modello iniziale, ampliandolo fino a sette stadi principali, e creando così la Scala di Norwood-Hamilton che utilizziamo ancora oggi.

Questa classificazione non è solo un riferimento accademico: è una guida clinica fondamentale per valutare l’evoluzione della calvizie, stabilire la strategia terapeutica più adatta e pianificare con precisione un intervento di trapianto di capelli.


Perché è così importante nella valutazione clinica

La scala Norwood-Hamilton consente al medico di:

  • Identificare il grado di diradamento in modo oggettivo;

  • Monitorare la progressione dell’alopecia nel tempo;

  • Stabilire se un paziente è idoneo al trapianto e quante unità follicolari saranno necessarie;

  • Prevedere l’andamento futuro della perdita di capelli in base al modello evolutivo.

In pratica, rappresenta una vera e propria mappa diagnostica del cuoio capelluto, in grado di orientare sia le terapie mediche preventive, sia le scelte chirurgiche.


Le sette fasi della scala di Norwood-Hamilton

Vediamole nel dettaglio, ricordando che ogni caso è unico e può presentare variazioni intermedie o asimmetriche.

Tipo I – Nessuna perdita visibile

I capelli sono densi su tutta la testa, compresa la linea frontale. È considerato lo stadio “zero” della calvizie, in cui la caduta è assente o fisiologica.

Tipo II – Recessione iniziale delle tempie

Si nota un leggero arretramento della linea frontale ai lati della fronte (triangoli temporali), mantenendo intatta la zona centrale. È un segnale iniziale di alopecia androgenetica.

Tipo III – Calvizie fronto-temporale

L’arretramento delle tempie diventa più marcato, formando la classica forma ad “M”. In alcuni soggetti si osserva un diradamento anche nel vertex (zona superiore posteriore).

Tipo IV – Diradamento evidente

Le zone fronto-temporali e la parte superiore iniziano a collegarsi visivamente. La linea frontale si sposta ulteriormente all’indietro e il vertex si svuota in modo significativo.

Tipo V – Calvizie estesa

Le due aree diradate (frontale e superiore) si separano solo da una sottile striscia di capelli. La copertura generale del cuoio capelluto è ridotta e il trapianto richiede una pianificazione accurata.

Tipo VI – Fusione delle aree calve

Le zone anteriori e posteriori ormai si uniscono, lasciando una sola area pelata centrale. Solo la parte laterale e occipitale conserva una densità stabile: la cosiddetta zona donatrice.

Tipo VII – Calvizie avanzata

È il grado massimo di alopecia maschile. Rimane soltanto una sottile fascia di capelli sui lati e nella nuca. In questi casi il trapianto può essere possibile solo con una corretta analisi della zona donatrice e l’uso di strategie conservative.


Fattori biologici: il ruolo del DHT

Il principale responsabile dell’alopecia androgenetica è il diidrotestosterone (DHT), un metabolita del testosterone prodotto dall’enzima 5-alfa-reduttasi.
Il DHT si lega ai recettori dei follicoli piliferi nelle aree geneticamente predisposte (fronte, tempie e vertex), provocando miniaturizzazione del capello, riduzione del ciclo vitale e, nel tempo, atrofia del follicolo.
È importante sottolineare che la sensibilità al DHT non è uguale in tutti gli individui: dipende da fattori genetici ereditari, motivo per cui la stessa concentrazione ormonale può provocare una calvizie diversa da persona a persona.


Utilizzo pratico della scala nella pianificazione del trapianto

Nella consulenza pre-operatoria, il medico utilizza la scala Norwood-Hamilton per:

  • Stabilire la densità da ricostruire;

  • Definire l’area ricevente in base all’età e all’evoluzione prevista della calvizie;

  • Valutare la disponibilità della zona donatrice;

  • Pianificare l’intervento in modo realistico, rispettando le proporzioni naturali e la progressione futura.

Per esempio, un paziente di tipo III o IV è generalmente un buon candidato per il trapianto, mentre in stadi più avanzati (tipo VI o VII) occorre una valutazione più strategica e, talvolta, un approccio combinato con terapie mediche di supporto (finasteride, minoxidil, PRP, terapie combinate).


Oltre la scala: una valutazione su misura

Sebbene la scala Norwood-Hamilton rappresenti un riferimento universale, ogni paziente è un caso a sé.
Età, familiarità, risposta ormonale, densità della zona donatrice e stile di vita influenzano notevolmente la strategia terapeutica.
Il trapianto di capelli, per ottenere risultati naturali e duraturi, deve essere personalizzato — proprio come un abito sartoriale, cucito su misura in base alla morfologia del volto e alla previsione evolutiva della calvizie.


Conclusione

La scala di Norwood-Hamilton non è solo una classificazione: è uno strumento di conoscenza che aiuta il paziente a comprendere la propria situazione e il medico a proporre la soluzione più adatta.
Capire (anzi, conoscere) il proprio stadio di alopecia significa affrontare il problema con consapevolezza, serenità e fiducia, sapendo che oggi la medicina e la chirurgia tricologica offrono soluzioni reali, efficaci e personalizzate.


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